sabato 15 marzo 2008

16 settembre 1978-Tragedia per la Repubblica


Trent'anni possono essere tanti o pochi, a secondo dei punti di vista. C'è per esempio chi dice "dai sono passati sessanta anni dalla guerra e pensi ancora alla resistenza..." e alla stessa maniera qualcuno dirà" solo sessant'anni fa..." Io sono tra questi ultimi, tra quelli per cui il tempo della storia è niente rispetto al corso degli eventi.
Aldo Moro e il suo cadavere sono un anello fondamentale di una catena genetica appartenente alla memoria collettiva. E' una ferita aperta e forse ancora purulenta. Moro è morto ancora. Muore nell'indifferenza dei giovani che non immaginano neppure di chi parliamo. Muore ancora di più nell'indifferenza di questi saltinbanchi della politica che, oltre le frasi di circostanza assonanti con quelle del giorno del ritrovamento del cadavere trent'anni orsono, non sono neanche lontanamente capaci di immaginare il progetto politico del grande statista. La foto del corpo di Moro nella Renault 4 è un simbolo. Rappresenta il cadavere putrescente della classe dirigente italiana che, da un lato ha dimenticato la lezione politica di Aldo Moro, dall'altra, dà luogo ad una putrefazione infinita, senza cioè che il cadavere almeno produca i sali fertili per la terra. La colpa di Moro, lo sappiamo, fu quella di volere i comunisti al governo, in un'epoca in cui il compromesso storico, non solo si poteva realizzare, ma si doveva compiere. Forse a causa di quel processo incompiuto, questo paese non è ancora diventato un paese normale. Moro non cercava l'inciucio che forse Veltrusconi realizzerà, ma una vera fusione di forze davvero di sinistra e davvero di centro. Ma allora come oggi la Chiesa si oppose, assieme probabilmente all'America perchè allora come oggi, i due soggetti aspiravano a coprire dei vuoti lasciati dai partiti. Allora come oggi, aspiravano ad egemonizzare i consensi politici dello Stivale. Allora come oggi poi si era di fronte ad una forte contrapposizione tra laici e cattolici, lotta voluta dalle gerarchie ecclesiastiche per alzare la posta del ricatto politico. A differenza che allora, uomini dallo spessore di Moro e Berlinguer, non solo avevano compreso che stante così le forze in campo, non si sarebbe mai riusciti a dare all'Italia un assetto politico ed economico moderno, ma sarebbero riusciti a trasformare la sinistra italiana in una moderna socialdemocrazia.
Per questo, il sacrificio dello statista, che assunse i toni tristi e dolorosi della tragedia classica, perchè parve che una cappa fatale si fosse abbattuta sulla sorte del presidente della Dc, senza lasciargli alcuna speranza, risulta, alla luce degli avvenimenti attuali, ancora più vano. E quindi più lacerante. La volontà di molti si associò nel determinare la fine di Aldo Moro, tra questi eminenti principi della Chiesa, che ebbero ad affermare "meglio il sacrificio di un uomo piuttosto che l'intera nazione perisca" anche allora lo spauracchio del comunismo faceva il suo effetto e già, come oggi, nel 1978 il Pci non era più comunista. Lo stesso Berlinguer aveva affermato di sentirsi più protetto dallo scudo della Nato che non dal Patto di Varsavia. Ma Moro doveva morire perchè probabilmente oltre a mettere in discussione il potere fino a sè stesso della Dc, faceva crollare il castello di carta della paura rossa, e metteva tra parentesi anche l'influenza sulle scelte dei cittadini per lungo tempo adoperata dalla Chiesa come arma contro la sua vera nemica, la modernità. Il Vaticano mai e poi mai avrebbe potuto continuare il suo rapporto prevaricatore con una nazione avviata verso la modernità, rispettoso ovviamente del pensiero di tutti, ma mai più incline a tollerare un'opinione pubblica manovarata solo dall'etica clericale.
Probabilmente, inquadrata in questa prospettiva, la nuova società che Moro avrebbe voluto sperimentare, sarebbe stata comunque vittima della corruzione e del revisionismo storico, priva com'è di una rivoluzione industriale che l'avesse potuta affrancare finalmente dal feudalesimo clientelare e fascista. Ma sicuramente avrebbe avuto più strumenti culturali per combattere questi fenomeni. Ma dato che la storia non si fa con i se e con i ma, credo sia necessario ritornare sulla memoria di Moro.
In quei giorni noi della generazione di trentenni eravamo bambini, ma la fine degli anni Settanta avevano l'impegno anche nelle parole delle canzoni, e forse perfino i versi erano alla ricerca di un qualcosa di nuovo. La vita era bellissima, anche se noi più responsabilizzati dei bambini di oggi, assumevamo anche nell'aspetto sguardi più adulti. Ma le nostre corse erano all'aperto, ci costruivamo i rifugi, ci sbucciavamo le ginocchia, ci commuovevamo per Alfredino nel pozzo, e ci sentivamo protetti da un vecchio partigiano al Quirinale. Forse per questo, in noi, più che in altri la tragedia di Moro è rimasta impressa, perchè in quell'età di accumulo di emozioni così intense, la morte di un uomo innocente ti sconvolge. E allora il profilo di Moro massacrato, diventa il volto dei vecchi di famiglia, l'ipostasi della fragilità. Così Moro divenne un lutto archetipo, un rimorso ancestrale, sincero e genuino in noi, recitato e cinico nei complici di ieri e di oggi vestiti da amici.